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Ri-partenze

Perché questo titolo?

Perché esso descrive esattamente il ricordo di cui oggi vi voglio parlare.


A quindici anni riuscii a convincere i miei genitori a farmi fare un'esperienza-studio all'estero di due settimane. Non avevo ben compreso ai tempi come funzionasse la piattaforma online attraverso cui fare domanda per partecipare, quindi non misi alcuna preferenza (che io ricordi!). Per farla breve: fui inserita nel gruppo di ragazzi che sarebbero andati in Irlanda, 'non male!' pensai.

Preparai documenti e valigia e partii. Era il 2 luglio 2013; il 16 luglio sarei già rientrata a casa.


Devo essere sincera, inizialmente ci vollero 2 o 3 giorni per ambientarsi per bene e 'crearsi un gruppetto di amici', una #squad insomma. Una volta però superate le iniziali difficoltà tutto fu più semplice e noi, 120 ragazzi provenienti da tutta Italia, diventammo come una famiglia.

Per rendere bene l'idea: io inizialmente avevo 'timore' delle mie coinquiline che, a differenza di me, nonostante fossero più piccole di me, erano già solite truccarsi, atteggiarsi e magari trascorrere molto tempo con i ragazzi. Infatti, il fatto di aver spesso tali ragazzi che girovagavano nel nostro appartamento di sera dopo cena mi intimoriva, non conoscendoli bene.


Detto ciò, tutto cambiò esattamente allo scoccare del 7° giorno di convivenza. Le coinquiline che inizialmente mi snobbavano scoprirono pian piano il mio scherzoso e solare carattere e così fecero anche i ragazzi, diventammo amici insomma.

In aggiunta, io e altri avevamo formato la fatidica #squad (se la memoria non m'inganna eravamo 7 ragazze e 5 ragazzi, più o meno) e ci sostenevamo e controllavamo a vicenda durante le gite fuori porta. Di sera, poi ci ritrovavamo insieme nelle zone comuni e chiacchieravamo ascoltando musica (fu allora, grazie a P.D.N. e Lere M. che scoprii il gruppo dei Thirty Seconds to Mars, ascoltando la canzone Up in the air. Non ho mai smesso di ascoltarli da allora).


Arrivò però il giorno della partenza. Dopo due settimane trascorse sempre insieme visitando città, suonando insieme a mensa la Cup Song e gioendo insieme, fu VERAMENTE traumatica la partenza.

La sera prima del rientro, ci fu concesso dai tutor di stare svegli fino a tardi, trascorrere la notte insieme sui prati irlandesi, suonare, cucinare e cantare: io inizialmente non compresi bene il motivo di questa improvvisa libertà concessaci, lo capii soltanto la mattina dopo.

Giorno 16 luglio infatti, essendo in molti, ci divisero in due gruppi per salire sugli autobus e raggiungere l'aereoporto: un gruppo sarebbe partito prima, l'altro circa un'ora dopo.


Cari lettori, non potete immaginare i pianti disperati che tutti, ripeto, TUTTI (maschi compresi! Piangevano quanto e più di noi ragazze! Ho ancora impressi nella memoria i volti di P.D.N. e R.R. colmi di lacrime) piangemmo quella mattina conseguentemente alla notizia dell'essere stati divisi in due gruppi in modo totalmente casuale per via dei posti in aereo.


So bene che il confronto non è esattamente corretto viste le differenti situazioni, ma io solitamente quando racconto di quel giorno ad amici e parenti tendo a descriverlo come la deportazione degli ebrei in epoca nazista (quando gli uomini venivano separati dalle donne e dai bambini).

In Irlanda i tutor infatti ci spronavano frettolosamente a salire sugli autobus e noi, una volta imbarcatici, sbattevamo le mani chiuse a pugno contro i finestrini piangendo e gridando i nomi degli amici che per puro destino erano rimasti fuori in attesa dell'autobus successivo.


Ricordo che io ero riuscita a sedermi dal lato del finestrino e quindi stavo letteralmente 'appiccicata' al vetro, mentre i miei amici che non avevano trovato posto sul mio stesso lato si appoggiavano sulla mia schiena con tutto il loro peso corporeo per salutare anch'essi in lacrime gli amici rimasti fuori.


Immaginate la scena: tutti noi ragazzi imbarcati sull'autobus eravamo sporti da un unico lato per salutare gli amici che nel mentre battevano i pugni anche loro da fuori contro i finestrini piangendo e, a mano a mano che distinguevano i nostri volti, gridavano i nostri nomi uno alla volta per un ultimo saluto.


Che giornata.

Ricordo ancora il volto di una ragazza di nome Martina che mi salutava bevendosi le lacrime (la quale avevo conosciuto bene solo il giorno prima durante una gita. Dovete infatti considerare che dopo una settimana di convivenza ci conoscevamo tutti e 120 amici! Certamente all'interno dei singoli gruppetti avevamo legato di più, però di vista ci conoscevamo tutti).

Che giornata.


Ripeto, piangevamo tutti quanti, senza distinzione di sesso o d'età o di rapporto d'amicizia. D'altronde avevamo trascorso insieme due settimane fidandoci e contando subito gli uni sugli altri, quindi eravamo diventati in breve tempo un'unica grande famiglia.


Che altro dire? Non bisogna temere di viaggiare da soli e di ritrovarsi soli o senza amici: gli amici si fanno lungo il 'tragitto'.


Flavia :-)




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